IN MYBIKE SULLE PISTE DI…NONNO BEPI
Non è necessaria un’ amicizia di lungo corso, può essere anche di recente iniziazione, importante è possedere il collante comune di un’unica, inossidabile passione per il pianeta Istria. Ah dimenticavo… non guasta il saper ricavare dai “garun” alla Binda o alla Tano Belloni, chilometri e chilometri su ruote scolpite, resistenti alle sollecitazioni aguzze e spigolose dei tratturi, avvezzi solo ai carriaggi bove-trasportati. Sono le premesse, non di poco conto, per i nostri tre giorni in mybike sulle rotte istriane.
Di primo mattino si ammira nella calda primavera, oramai avanzata, un paesaggio di rughe profonde e di dolci declivi, inverdito da faune arboree e rustiche perenni, identico a quello che poteva presentarsi secoli fa ai popoli istro-veneti o slavi, migrati nei secoli. Purtroppo anche il paesaggio evolve e l’uomo lascia il segno a volte lieve e transitorio, altre pesante e indistruttibile, non sempre dettato da volontà migliorative, ma il più spesso solo mercantili. Così accanto ad edifici messi su con fretta e materiali inadatti che gridano note stridenti al paesaggio che hanno attorno, esistono esempi di oculatezza e gusto ricostruttivo che potranno accarezzare nel tempo anche gli occhi, forse meno esigenti, dei nostri pronipoti. E’ tale la Franica rural house (può far sorridere la terminologia di un depliant globalenglish un po’ pretenzioso, ma al quale ci dovremo presto abituare) di Milena Šugar, inserita da professionisti di rispetto, nel paesaggio di un’Istria verde nei pressi di Sutivanac che, poi abbiamo scoperto, risponde alla denominazione più antica di San Giovanni d’Arsia.
Di primo mattino si ammira nella calda primavera, oramai avanzata, un paesaggio di rughe profonde e di dolci declivi, inverdito da faune arboree e rustiche perenni, identico a quello che poteva presentarsi secoli fa ai popoli istro-veneti o slavi, migrati nei secoli. Purtroppo anche il paesaggio evolve e l’uomo lascia il segno a volte lieve e transitorio, altre pesante e indistruttibile, non sempre dettato da volontà migliorative, ma il più spesso solo mercantili. Così accanto ad edifici messi su con fretta e materiali inadatti che gridano note stridenti al paesaggio che hanno attorno, esistono esempi di oculatezza e gusto ricostruttivo che potranno accarezzare nel tempo anche gli occhi, forse meno esigenti, dei nostri pronipoti. E’ tale la Franica rural house (può far sorridere la terminologia di un depliant globalenglish un po’ pretenzioso, ma al quale ci dovremo presto abituare) di Milena Šugar, inserita da professionisti di rispetto, nel paesaggio di un’Istria verde nei pressi di Sutivanac che, poi abbiamo scoperto, risponde alla denominazione più antica di San Giovanni d’Arsia.

Le linee di un’architettura rustica nobile, rimodellate con gusto, gli ambienti caldi e accoglienti, pastellati con tinte ocrate e il mobilio discreto di fattura manuale ci ospitano per tre giorni nel contesto di un’accoglienza dolce, accorta, comune alle usanze contadine di tutta questa terra. La nostra allegria goliardica e un po’ fracassona non disturba la suscettibilità dei nostri ospiti, ma anzi è rapido tramite per accordi su un pentagramma piacevole e ricco di spunti umani. Le colazioni con cibi genuini e ricchi di energia che ci saranno indispensabili per le lunghe pedalate (ah la skuta, leggi ricotta, del primo mattino sarà un ricordo indelebile), o la cena istriana rustica, gustosa, innaffiata da un vinello solo apparentemente umile, sono state non solo un pretesto per piacevoli discussioni serali a tema variabile e spesso impegnativo, ma loro stesse episodi di reale godimento palatale.
Il primo dei tre percorsi ci vede impegnati, all’arrivo del primo giorno, lungo un anello che da Levade lungo una carrareccia bianca fino a Ponte Porton ci porta poi, per un tratto percorso sulla antica direttrice Buie-Pola, alla bella Visinada. Terminato il tratto di salita, alle porte del paese, si apre, da uno spiazzo attiguo, un panorama mozzafiato su colli e balze segnati da ville e casolari che arriva con lo sguardo alla sommità della splendida Montona. E’ là che dovremmo arrivare, ma la strada sarà lunga ed impervia ed attraverserà il vecchio percorso della mitica “Parenzana” con viadotti ancora percorribili e tratti scavati da mani callose in roccia viva. Il percorso invita a ricordare e commentare l’opera, a quei tempi mastodontica, per un collegamento efficace e intelligente di borghi e paeselli che, senza quel benedetto cordone ombelicale, sarebbero certamente rimasti ancor più isolati e derelitti. Il sentiero è ben tracciato, ma impervio di sassi e cespuglioni debordanti, per cui merita tutta la nostra prudenza ed attenzione. Fortunatamente è in lieve e costante declivio lungo il disegno, geometricamente severo, del progetto ferroviario a scartamento ridotto. Corriamo (si fa per dire) lungo una pagina di storia istriana, ma forse il nostro atteggiamento mentale, distratto dalla libertà goliardica che respiriamo a piene boccate, non è consona del tutto alla serietà del momento.

Montona ha una storia troppo lunga da narrare nei dettagli e noi siamo troppo distratti per prestare attenzione a chi vuol farlo. Viviamo dei graffi immediati delle sensazioni, non possiamo (ed oggi non lo vogliamo) esser costretti ai percorsi razionali della mente. Un giro sul belvedere attorno alle mura ci soddisfa a sufficienza e siamo subito, dopo una discesa mozzafiato verso Levade, nella nostra sera.
La sera ci aspetta a Batlug ( Gimino) dove Edo ci sorprenderà con tutta la sua rustica amicizia fatta di ciocchi crepitanti nel camino, odore confortante di casa e piatti capolavoro, come i mitici fusi con il gallo ruspante e l’agnello con patate cotti sotto la “crapiza”. La serata poteva essere calda e confortante, come tante, punto e basta. Invece un pensiero attento e generoso di Giordano l’ha mutata in un ricordo indelebile, dovessimo campare (auguri a tutti…) fino a cent’anni.
Mauro, un omone grande e grosso con mani che pensavamo più dedite alla campagna che all’arte dolce e coinvolgente della musica, estrae - dopo poco - dai tasti magici di una Paolo Soprani le note ora allegre, ora romantiche o struggenti di diecine di canzoni che ci coinvolgono fino alla commozione. La musica ci entra dentro e noi ci lasciamo beare, partecipando, con tutti i mezzi a disposizione, a questo improvvisato concerto dedicabile, per una sola sera, alla passione di una vita traboccante di amicizia e spensieratezza. I versi amor-popolari di “Vino amaro” e le note più genuinamente sentimentali della “slatka, mala Marijana” ci rimarranno nel cuore e sulle labbra fino al mattino successivo.
Nel buio della nostra nuova camera, accanto ad un amico che forse già russa (è Silvio, ma guai a dirlo), ci aspetta il pensiero della “buona notte”: siamo in nove, di origini, estradizioni, culture, gusti e convinzioni le più diverse, eppure se qualcuno ci chiedesse di sostituire – come da un mazzo di carte – uno del gruppo con un altro, penso che verrebbe cacciato, a male parole, con una pedata là dove non batte il sole. Più di così – abbiate pazienza - non riesco ad elucubrare in questa notte ricca di sortilegio.
Mauro, un omone grande e grosso con mani che pensavamo più dedite alla campagna che all’arte dolce e coinvolgente della musica, estrae - dopo poco - dai tasti magici di una Paolo Soprani le note ora allegre, ora romantiche o struggenti di diecine di canzoni che ci coinvolgono fino alla commozione. La musica ci entra dentro e noi ci lasciamo beare, partecipando, con tutti i mezzi a disposizione, a questo improvvisato concerto dedicabile, per una sola sera, alla passione di una vita traboccante di amicizia e spensieratezza. I versi amor-popolari di “Vino amaro” e le note più genuinamente sentimentali della “slatka, mala Marijana” ci rimarranno nel cuore e sulle labbra fino al mattino successivo.

La seconda boucle del viaggio scende nelle strade del cuore, sui sentieri di nonno Bepi e dei suoi nipotini. Sappiamo da una carta topografica, più fantasiosa che precisa, che c’è un sentiero lungo-mare che dal camping di Medolino, lungo il promontorio di Merlera, il porto di Cuie, quello di Cala, arriva fino a punta Zuffo, uno degli stipiti dell’ingresso di porto Badò. Più facile dire che fare. L’inizio del gomitolo del percorso è inestricabile, più su le cose migliorano. Abbiamo perso tempo e siamo in ritardo, per cui ci accontentiamo, una volta giunti nel porticciolo di Cala, di quello che abbiamo ricevuto. Risaliamo verso Sissano su una carrareccia bianca e polverosa in leggera ma costante salita. Nonno Bepi si girerebbe nella tomba se non facessimo, dico io e Franco, gli onori di casa…oddio quel che si può. I suoi averi antichi fanno sempre impressione, almeno per il loro dignitoso abbandono e per quel che viene alla mente rileggendo le pagine del distacco che ho scritto, immeritatamente anni fa, costrettovi da una vena amara e struggente che non avevo ancora conosciuto. Io, personalmente, singhiozzo ancora dentro di me quando rivedo, nella stalla abbandonata, le poste della Viola e delle altre o il filo spinato messo di traverso, che è ancora là arrugginito nel fienile, e che mi ha segnato la gamba di una cicatrice ancora ben visibile.
Ma le ore premono sempre alla porta della vita, anche quelle più serene, e scappano cacciate da altre i cui connotati ancora non conosciamo. E così ci troviamo a bere un bicchiere di Malvasia alla tavola del caro Alessandro, a Lisignano, e di sua moglie Maria che ci racconta le novità del sua numerosa famiglia e poi a fare un rapido giro fino all’Arena dove, la maestosità dell’anfiteatro, entusiasma e meraviglia Elio, un biker dei nostri, che arriva da Roma apposta per questa indimenticabile avventura.
La seconda notte, ancora nel comodo letto di casa Franica, ancora con accanto l’amico che forse già russa, pieno di cibo e vino della tavola della cara Milena (ah quella frittata di asparagi selvatici era una delle migliori, mai gustate) non tento neppure di almanaccare il tradizionale pensierino della sera, ci farei una brutta figura verso me stesso e verso gli altri che tanto si aspettano da queste righe.
Mi giro sul fianco destro, quello preferito per il sonno, e sono subito tra le spire di un sognare infantile.

Pino ha programmato un terzo percorso breve ma tosto, tutto o quasi lungo i tornanti delle salite per Pedena e Gallignana. In quest’ultimo delizioso borgo, di nobili natali, ammiriamo, oltre al palazzotto veneto dei Salomon, la chiesa e molte altre piccole interessanti abitazioni di antichissima fattura. Naturalmente Romeo, l’uomo dal click fumante, non sta nei pantaloni. Durante la strada di ritorno verso le macchine posteggiate in uno
spiazzo lungo la strada verso la pianura dell’Arsia il gruppo si divide in due e Franco Elio e Carmelo non sono presenti all’appello del ricongiungimento. I tre hanno deviato verso una strada errata e solo dopo molti minuti vengono rintracciati con il cellulare e riportati all’ovile con i mezzi dell’assistenza. Un’occasione per un’ennesima spensieratissima risata e il pegno per un’offerta a san Beone.
Le ore premono, non possiamo ritardare perché il pranzo ci aspetta nel maniero diroccato dell’ospitalissimo Giulio, patron e probabile vice-sindaco del paese di Chersano. Lui è un appassionato della storia dei luoghi e di quella della sua genealogia che fa bella mostra di sé in un tableau istoriato alla parete di un ambiente rustico, ricavato da un vecchio pollaio, dove ha raccolto decine di cimeli di famiglia. Ci sono dagli abiti di cerimonia delle sue due bisnonne alle foto del nonno marinaio in partenza per la Cina alla guerra dei boxer.
Risaliamo una scala di pietra e siamo nella grande cucina dove, su un tavolo riccamente apparecchiato, è in esposizione
un pranzo per un’armata napoleonica. Niente paura, abbiamo sofferto tanto, ci faremo onore anche questa volta. L’ardimento, però, arriva a limiti invalicabili, tanto che qualcuno suggerisce a Dino - nel caso di un altro invito a castello - di passare, prima, da una gostilna per un frugale merendino.
La seconda notte, ancora nel comodo letto di casa Franica, ancora con accanto l’amico che forse già russa, pieno di cibo e vino della tavola della cara Milena (ah quella frittata di asparagi selvatici era una delle migliori, mai gustate) non tento neppure di almanaccare il tradizionale pensierino della sera, ci farei una brutta figura verso me stesso e verso gli altri che tanto si aspettano da queste righe.
Mi giro sul fianco destro, quello preferito per il sonno, e sono subito tra le spire di un sognare infantile.
Pino ha programmato un terzo percorso breve ma tosto, tutto o quasi lungo i tornanti delle salite per Pedena e Gallignana. In quest’ultimo delizioso borgo, di nobili natali, ammiriamo, oltre al palazzotto veneto dei Salomon, la chiesa e molte altre piccole interessanti abitazioni di antichissima fattura. Naturalmente Romeo, l’uomo dal click fumante, non sta nei pantaloni. Durante la strada di ritorno verso le macchine posteggiate in uno

Le ore premono, non possiamo ritardare perché il pranzo ci aspetta nel maniero diroccato dell’ospitalissimo Giulio, patron e probabile vice-sindaco del paese di Chersano. Lui è un appassionato della storia dei luoghi e di quella della sua genealogia che fa bella mostra di sé in un tableau istoriato alla parete di un ambiente rustico, ricavato da un vecchio pollaio, dove ha raccolto decine di cimeli di famiglia. Ci sono dagli abiti di cerimonia delle sue due bisnonne alle foto del nonno marinaio in partenza per la Cina alla guerra dei boxer.
Risaliamo una scala di pietra e siamo nella grande cucina dove, su un tavolo riccamente apparecchiato, è in esposizione

Il ritorno è naturalmente un po’ mesto, ma i “garun” hanno necessità di manutenzione e le famiglie esigono i loro punti. Il bicchiere della staffa ed i saluti di rito sono attorno ad un tavolo nella Trattoria al ponte di Pinguente.
Il moloc della quotidianità ci ha già inghiottito di sicuro, ma neanche il tempo che passa inesorabile sarà in grado di cancellarci d’addosso le sensazioni così vivide e pregnanti di queste nostre tre giornate di vita comune. Saranno nostre, eternamente nostre.
Il moloc della quotidianità ci ha già inghiottito di sicuro, ma neanche il tempo che passa inesorabile sarà in grado di cancellarci d’addosso le sensazioni così vivide e pregnanti di queste nostre tre giornate di vita comune. Saranno nostre, eternamente nostre.
MARIO FREZZA
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